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Pubblicato 15 ottobre 2021

Nuovi orientamenti in materia di whistleblowing e i loro impatti nel settore pubblico

di Valeria Caterina Alba Vergine

Le Pubbliche Amministrazioni sono incentivate oggi ad attuare un approccio integrato nella compliance anticorruzione, antiriciclaggio e della Direttiva Europea in materia di segnalazioni. Il ruolo di regista potrebbe essere svolto anche stavolta dai Responsabili della Prevenzione della Corruzione, con la collaborazione di Organi/Uffici di controllo interni e/o esterni nonché, ovviamente, Dirigenza ed Amministratori.

Detta attività, oltre ad evitare inutili duplicazioni ed affilare (una delle) armi del sistema dei controlli dell’Ente (ossia le segnalazioni), potrebbe acquisire valore aggiunto se la segnalazione venisse valorizzata anche come deterrente del rischio reato nell’attuazione e/o rendicontazione di attività previste dal “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)” e delle ormai fin troppo pubblicizzate sovvenzioni (circa 300 miliardi di euro) in esso previste. L’integrazione dei diversi tipi di segnalazione non potrà non essere di interesse anche per la cosiddetta “Procura Europea” e per l’organo (“EPPO”) recentemente istituito con Regolamento (EU) 2017/1939 al fine di contrastare reati commessi a danno degli interessi finanziari dell’UE.

Ciò che oggi non è dato di sapere però è se l’adozione e la diffusione di dette innovazioni e le conseguenti modifiche organizzative basteranno ad incrementare le segnalazioni di illeciti nelle Pubbliche Amministrazione, le quali, attualmente, non hanno una portata tale da incidere sul malaffare, nonostante tante campagne di sensibilizzazione sul tema.

Giova ricordare infatti che gli interventi tesi a limitare o sconfiggere comportamenti penalmente rilevanti nell’economia non sono una novità, da diversi lustri anzi sono temi centrali nell’agenda del legislatore nell’Unione Europea e nei diversi Stati che la compongono.

Si pensi in Italia il D.lgs. 231/01, alla legge anticorruzione 190/2021 e al D. lgs. 231/2007 in tema di antiriciclaggio, norme che hanno già determinato un forte impatto sui Modelli Organizzativi degli Enti Pubblici e/o Privati destinatari di tali norme, al fine di contrastare il rischio di commissione di reati e porlo sul medesimo piano di importanza del rischio operativo, che di prassi è maggiormente attenzionato, nel settore privato ma anche nel pubblico. In queste norme le segnalazioni sono di prassi considerate uno strumento di attuazione e di conseguenza la tutela del cd “segnalante” (“whistleblower”, nel più diffuso termine di matrice anglosassone) ha acquisito una propria autonoma dignità, divenendo oggetto di specifici interventi legislativi. Si pensi ad esempio alla legge 30 novembre 2017, n. 179 («Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato») ma anche alle linee guida nazionali (ANAC) e alle disposizioni puntuali e mirate dei diversi enti pubblici (es Codici di Comportamento).

In questo contesto normativo si colloca la Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione (di seguito la “Direttiva”).

Si tratta di una “nuova” norma, perché entro breve scade il termine della delega al Governo per il suo recepimento (31 dicembre 2021, ex lege n. 53/2021) e sembra rifarsi ai principi e alle regole già in vigore nel settore pubblico grazie all’estensione del numero dei destinatari che già a livello nazionale autorevoli fonti (dottrina, ANAC) suggerivano.

Il legislatore comunitario integra il sistema di whistleblowing presente nel nostro ordinamento con lo scopo di garantire un livello di protezione elevato a tutti coloro che segnalano violazioni del diritto UE. Nell’ambito di applicazione della Direttiva rientrano gli atti dell’Unione e quanto contemplato all’art. 325 TFUE e all’art. 26, paragrafo 2 TFUE, inerendo, a titolo esemplificativo:

  • appalti pubblici;
  • servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo;
  • sicurezza e conformità dei prodotti;
  • sicurezza dei trasporti;
  • tutela dell’ambiente;
  • radioprotezione e sicurezza nucleare;
  • sicurezza degli alimenti e dei mangimi e salute e benessere degli animali;
  • salute pubblica;
  • protezione dei consumatori;
  • tutela della vita privata e protezione dei dati personali e sicurezza delle reti e dei sistemi informativi;
  • violazioni che ledono gli interessi finanziari dell’Unione;
  • violazioni riguardanti il mercato interno, comprese violazioni delle norme dell’Unione in materia di concorrenza e di aiuti di Stato, nonché violazioni riguardanti il mercato interno connesse ad atti che violano le norme in materia di imposta sulle società o i meccanismi il cui fine è ottenere un vantaggio fiscale che vanifica l’oggetto o la finalità della normativa applicabile in materia di imposta sulle società.

L’incremento di controlli sulle violazioni che intaccano in via esclusiva l’Europa obbliga i destinatari della norma a munirsi di appositi canali di comunicazione per le segnalazioni dirette all’interno (indirizzate ad un membro/organo della societaria) ma anche all’esterno (ovvero quelle rivolte a soggetti esterni, come Autorità o persino alla stampa).

In merito a queste ultime (ossia le segnalazioni all’esterno) deve essere considerato anche l’impatto reputazionale e ciò richiede agli Enti di prepararsi per tempo, prevedendo i possibili comportamenti dei dipendenti al fine di introdurre misure atte a mitigare detto rischio.

L’obbligo imposto dalla Direttiva tra l’altro riguarda tutti, il settore privato e pubblico, sebbene con disposizioni e condizioni diverse per la sua corretta attuazione. Ad esempio per il settore pubblico si tiene conto della dimensione dell’Ente con “l’esenzione dall’obbligo previsto ex art.8 comma 1 ai comuni con meno di 10.000 abitanti, o meno di 50 lavoratori”.

La tutela per il segnalante non è attuata solo tramite il principio della riservatezza ma grazie ad una nutrita serie di “misure di prevenzione”, cui la direttiva dedicato un intero Capitolo e che si concretizzano nell’obbligo per gli Stati membri di:

  • adottare le misure necessarie per vietare qualsiasi forma di ritorsione contro i segnalanti, comprese minacce e tentativi di ritorsione (cd. divieto di ritorsione) ma anche per garantire che i segnalanti siano protetti dalle ritorsioni (cd. misure di protezione dalle ritorsioni);
  • provvedere affinché i segnalanti abbiano accesso, a seconda dei casi, a misure di sostegno;
  • assicurare che, in conformità della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, le persone coinvolte godano pienamente del diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, della presunzione di innocenza e dei diritti della difesa, compreso il diritto di essere sentiti e il diritto di accedere al proprio fascicolo (misure per la protezione delle persone coinvolte).

In Italia, tramite le recenti (giugno 2021) “Linee Guida” in tema di whistleblowing, ANAC agevola la Pubblica Amministrazione a comprendere la Direttiva europea, anticipandone gli effetti sul sistema di tutela previsto dal nostro ordinamento nazionale.

Attraverso tale documento l’Authority fornisce importanti indicazioni in merito all’oggetto, alle caratteristiche, alle modalità e ai tempi di effettuazione della segnalazione, chiarendo che:

  • le segnalazioni devono essere il più possibile circostanziate indicando tempo, luogo, descrizione del fatto, soggetto e allegando eventuali documenti;
  • non si debbono prendere in considerazione meri sospetti riportati dal segnalante;
  • il divieto di rilevare l’identità del segnalante è da riferirsi non solo al nominativo dello stesso ma anche a tutti gli elementi della segnalazione, inclusa la documentazione ad essa allegata, nella misura in cui il loro disvelamento, anche indirettamente, possa consentire l’identificazione del segnalante;
  • il segnalante deve essere preventivamente informato (tramite la piattaforma informatica o con altri mezzi) dell’eventualità che la sua segnalazione, nel rispetto della tutela della riservatezza della sua identità, possa essere trasmessa alle Autorità giudiziarie, per i profili di rispettiva competenza.

In attesa quindi dei prossimi sviluppi nel recepimento della Direttiva da parte del nostro Governo, l’augurio è quindi quello di non rendere sterile questa occasione: ogni Ente potrebbe fin da ora provare a “preparare il terreno” con una seria autoanalisi ed un conseguente sforzo di accertare se sono realmente affidabili (es sicurezza informatica) e conosciuti presso dipendenti e collaboratori i canali di segnalazione. E’ necessario comprendere cosa non ha funzionato, soprattutto in quei settori/enti in cui il rischio corruttivo è alto, magari si sono accertati reati ripetuti e gravi ma le segnalazioni negli anni si sono mantenute numericamente o qualitativamente irrilevanti (se non del tutto assenti). Qualche riflessione in più potrebbe essere condotta non solo sul piano “oggettivo” (il contesto organizzativo) ma anche sul piano “soggettivo” delle segnalazioni, ossia profilando meglio la figura del potenziale whistleblower.

In altri termini, se si riflette su quali sono, nella propria realtà, le tipologie di lavoratori che possono più di altri venire a conoscenza di illeciti o addirittura di “sistemi” malavitosi (magari collegandoli alle aree/processi a più elevato rischio nel PTPCT) si possono studiare misure o soluzioni mirate per aumentare la fiducia o contrastare concretamente eventuali ostacoli che il potenziale segnalante incontra (o crede che incontrerà).

Autorevoli autori (es Nicoletta Parisi, già Consigliere Anac) hanno già sostenuto la necessità di promuovere le segnalazioni introducendo anche in Italia, come già avviene all’estero, anche forme di premialità (incentivi economici e/o reputazionali, il rimborso di eventuali spese legali ecc… ) in aggiunta alle misure di tutela del lavoratore segnalante attualmente vigenti.

Nelle situazioni più gravi anche questo stimolo potrebbe però rivelarsi insufficiente e andrebbero pertanto ipotizzate ulteriori forme di tutela e/o di rassicurazione, quali, ad esempio, fornire la facoltà di un trasferimento (mobilità volontaria, nel caso del pubblico impiego) o l’aiuto a trovare un altro lavoro (con parità di condizioni e retribuzione) al dipendente segnalante, nelle more erogando un sussidio economico (un po’ come avviene per i collaboratori di giustizia)

Infatti, sebbene sia palese che il lavoratore abbia l’obbligo morale (e giuridico, nel caso del funzionario pubblico) di denunciare illeciti conosciuti nell’esercizio della propria attività lavorativa (ossia non investigando abusivamente su “rumors” solo per vendicarsi di presunti torti subiti) è anche vero che, in assenza di incentivi (o correttivi), spesso conviene non denunciare.

Per questo è importante “profilare” il whistleblower, prevedendo se sarà portato a non denunciare per scarso senso etico (un prudenziale “lavarsene le mani”) e/o per non rischiare di compromettere posizioni lautamente retribuite e di potere (forse non a caso Pilato, cui si riferisce la celeberrima citazione di origine biblica, era proprio un alto funzionario pubblico), oppure non vuole esporsi per stato di necessità (es il mantenimento della famiglia) o, infine, per paura (ricatti da parte di associazioni a delinquere).  La storia professionale e umana (talvolta anche giudiziaria) che le cronache in questi anni ci hanno riportato di whistleblower famosi purtroppo non è incentivante, eroi visti come l’eccezione, non la normalità.

 “Beato il popolo che non ha bisogno di eroi” reciterebbe Brecht; uguaglianza sostanziale e non formale, potremmo replicare in Italia grazie all’art 3 della nostra Costituzione (“rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale”, che, limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini).

In conclusione, la nota dolente della carenza di segnalazioni deve fornirci il coraggio di interrogarci tutti, in ogni contesto (pubblico e privato, come lavoratori ma anche come cittadini e portatori di interesse) perché potrebbe essere sintomo di malattie più gravi che, trascurate, determinano conseguenze letali. La posta in gioco è alta, è la chance di rigenerare la società civile con la linfa vitale di quei valori e principi etici che sono la ratio di tante norme del nostro ordinamento ma che troppo spesso sono relegati in discorsi o articoli, e non si attuano, per la paura di ritorsioni, per indifferenza o, banalmente, per una cattiva interpretazione di quell’aspettativa di quieto vivere che un po’ tutti (per ora) nutriamo nel Bel Paese.

 

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente riconducibili all’autore e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale dell’Ente di appartenenza.

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